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La psicoterapia è “il” trattamento biologico

Come si fa con il semplice uso della parola ad ottenere un cambiamento che permetterà di stare meglio? Questa è una delle tante domande che spesso arrivano in uno studio di psicologia e psicoterapia. Altre della stessa famiglia potrebbero essere “Ma cosa devo fare qui? Parlare e basta?”, “Solo parlando mi andrà via l’ansia?”, e così via. 

Le neuroscienze mostrano che la psicoterapia non solo è un trattamento biologico, ma anche che può essere considerato “il” trattamento biologico per eccellenza. 

La psicoterapia disattiva le mappature disadattive del cervello e promuove percorsi nuovi e costruttivi. Cosa vuol dire? Come accade questo importante processo?

La psicoterapia si rivolge al cervello nel modo in cui esso si sviluppa, matura e opera; segue i principi dell’adattamento evolutivo ed è in consonanza con la genetica. Guarisce gli adattamenti disfunzionali del cervello proprio nel modo in cui questi si sono costruiti ed evoluti nell’uso quotidiano.

Le operazioni del cervello sono puramente biologiche. Il cervello mappa le nostre esperienze e i nostri ricordi attraverso il collegamento di trilioni di connessioni neuronali. Queste reti interconnesse creano circuiti più grandi che mappano tutte le combinazioni neurali relative alle esperienze o ai ricordi attraverso la struttura della corteccia cerebrale. Questo processo genera mappe neuronali simboliche di alto livello che prendono forma come immagini nella nostra coscienza. 

Nello specifico, il processo di psicoterapia ripara biologicamente il danno arrecato alla nostra coscienza. Per comprendere meglio il modo in cui mappiamo la nostra esperienza e come effettuare il cambiamento del cervello, userò un semplice esempio di apprendimento neuromuscolare. Questo esempio riguarda l’imparare a suonare la chitarra. L’apprendimento neuromuscolare è simile ad altri strumenti musicali, sport, danza o qualsiasi attività fisica appresa.

Cosa succede nel cervello mentre impari a suonare l’accordo B7 sulla chitarra? Richiede un’attenzione totale per separare le dita in un modo preciso, per mantenere le corde all’interno di determinati tasti. Ad un primo tentativo non ci si riesce. Bisogna posizionare lentamente ogni dito sul tasto destro. I muscoli non sembrano poterci arrivare, poter mantenere la posizione e ottenere un suono dalle corde. E fa male. Inizialmente servono alcuni secondi per posizionare correttamente la mano, sistemando un dito alla volta. 

Continuando ad esercitarsi sull’accordo B7, diventa un po’ più facile. Dopo una notte di sonno, provando di nuovo, è ancora piuttosto difficile. C’è ancora bisogno di una piena attenzione per riuscire a posizionare correttamente le dita sui tasti. Il suono inizia a migliorare, ma riuscirci è ancora molto lontano. L’accordo non è ancora utilizzabile. Dopo 3 giorni di lavoro, si riesce finalmente a suonare l’accordo. Le dita non fanno più male e migliora la coordinazione della mano. La mano ora funziona come un corpo unico, senza molti sforzi coscienti. Non bisogna più pensare ad ogni singolo movimento. Si può finalmente dire di padroneggiare l’accordo: si è creata una mappa neuromuscolare B7 nella corteccia cerebrale del chitarrista. 

Immaginiamo, invece, che l’accordo sia stato imparato utilizzando una posizione sbagliata della mano e che successivamente la si voglia correggere. Per farlo bisogna, per prima cosa, forzarsi a smettere di usare la vecchia posizione della mano. Ancora una volta, bisogna prestare la massima attenzione a tenere le dita e la mano in modo diverso. Questo riporterà al dolore muscolare, alla goffaggine, alla lentezza, all’incapacità e alla frustrazione, proprio come accadeva la prima volta, ma non così tanto. Questo è necessario per fissare una nuova e diversa mappa B7 neuromuscolare nella corteccia cerebrale. Una volta fissata, funziona usando la nuova mappatura, che permetterà di suonare in modo automatico. Il processo di cambiamento all’interno del cervello implica la disattivazione prima, e l’inibizione poi, del vecchio schema cerebrale; creando dunque una nuova esperienza neuromuscolare per creare un accordo B7 ri-mappato, che viene attivato quando richiesto. 

Questo descrive l’apprendimento e il cambiamento di processi neuromuscolari semplici. Nella sfera emotiva della coscienza, il cambiamento e la crescita sono molto più complessi. Poiché la sceneggiatura è scritta attraverso l’amigdala e il sistema limbico, che regolano alcune categorie emotive, anche il cambiamento deve procedere attraverso le emozioni. Il processo di cambiamento passa attraverso l’abbandono del vecchio schema disfunzionale e quindi comporta un lutto. 

In psicoterapia, il paziente piange i dolori della sua vita in un contesto di fiducia emotiva con il terapeuta. Il paziente piange gli abusi e le privazioni della sua vita e attraversa nuovamente un dolore analogo per disattivare le mappature cerebrali disfunzionali, anche se ha a disposizione nuove risorse e non è solo. Il processo si svolge attraverso diverse fasi che permettono di accettare le vecchie modalità disfunzionali, rinunciarvi e costruirne di nuove. 

Fonte originale: Psychotherapy Is ‘The’ Biological Treatment – Medscape – Mar 16, 2018 

infertilità

La cicogna distratta: quando un bambino non arriva

Il desiderio di un avere un bambino è naturale e fisiologico in molte coppie, ma a volte le cose si complicano e arriva una diagnosi di infertilità. 

L’infertilità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come l’assenza involontaria di concepimento dopo almeno un anno di rapporti mirati o non protetti. Può essere legata ad un fattore maschile, femminile o idiopatico di coppia, cioè non spiegabile da una causa organica presente nei partner. 

Indipendente da come si arriva a questa diagnosi la coppia si trova davanti nuovi scenari possibili, magari mai pensati fino a quel momento, tra cui quello di intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA). 

Il supporto psicologico può essere un aiuto prezioso per elaborare tutte quelle emozioni legate alla diagnosi di sterilità e al percorso di PMA ed imparare a gestire la fatica ed il dolore che ne conseguono. 

Uno strumento particolarmente proficuo in questi casi è il lavoro svolto con piccoli gruppi di coppie (3 o 4) che si trovano a vivere questo disagio: la presenza dello psicoterapeuta facilita l’espressione guidata delle emozioni, la condivisione delle esperienze e dei vissuti soggettivi tra i partecipanti e permette di uscire dall’isolamento emotivo che spesso si viene a creare intorno a queste coppie. 

L’elaborazione emotiva di questi aspetti aiuta le coppie a ristabilire un equilibrio tra possibilità e fallimento, speranza e delusione e ad affrontare il percorso con maggiore serenità; spesso infatti accade che questa venga messa a rischio dal ritmo incalzante che i protocolli di intervento richiedono (monitoraggi ecografici ed esami del sangue quasi quotidiani, somministrazione di farmaci ad orari precisi). 

I gruppi si sviluppano intorno al focus dell’infertilità, hanno per oggetto l’esperienza soggettiva di ognuno e come la sofferenza emotiva viene vissuta all’interno della coppia.

Talvolta, è possibile che durante gli incontri emergano delle sofferenze individuali intense a cui non è possibile dare uno spazio soltanto all’interno del gruppo di coppie. In queste situazioni è possibile valutare insieme alla psicoterapeuta la possibilità di intraprendere un percorso di psicoterapia individuale o di coppia che possa garantire l’attenzione necessaria.

Purtroppo infatti, quando un bambino non arriva, la coppia deve fare i conti con un evento doloroso che spesso crea degli scombussolamenti sia nei singoli partner che nella relazione di coppia. 

A livello individuale ognuno deve confrontarsi con l’impossibilità di diventare padre o madre e, a livello di coppia, entrambi sono di fronte all’irrealizzabilità di un progetto comune, e in alcuni casi fantasticato fin dalla giovane età (“Quando sarò madre/padre farò…”, “Se un avrò un figlio…”). Le coppie che si avvicinano al mondo della procreazione medicalmente assistita (PMA) spesso cercano di acciuffare la cicogna da tempo, e per questo portano sulle spalle un grosso bagaglio di sofferenza emotiva, difficile da condividere ed elaborare con amici e parenti. E si sentono sole.

Inoltre non va dimenticato che anche il percorso diagnostico può essere fonte di stress: l’invasività degli esami (ad esempio l’esame della pervietà delle tube, o l’esame dei livelli ormonali da svolgere in precisi giorni del ciclo, o lo spermiogramma) può far sentire la coppia in corso di valutazione in una sfera che solitamente è intima e privata. 

Spesso i partner si ritrovano a vivere in una condizione di disagio e di sofferenza emotiva che perdura nel tempo, magari in balia di emozioni tra loro contrastanti e difficilmente governabili, che oscillano dalla vergogna all’invidia, dalla speranza alla frustrazione, dall’aspettativa alla delusione. 

Una sensazione piuttosto comune durante i tentativi di PMA è che tutti gli altri aspetti della vita debbano mettersi in standby, in attesa dell’arrivo del ciclo mestruale, che permette la programmazione della stimolazione, dei risultati dei monitoraggi ecografici ed ormonali, che permettono la pianificazione delle fasi successive del percorso, dei risultati delle Beta-hCG, che daranno il verdetto finale. Insieme a questi aspetti pratici si mettono in attesa anche gli aspetti identitari dell’individuo (coppia, lavoro, svago), con il conseguente sviluppo di una immagine di sé impoverita e svuotata di significato. Pertanto spesso nelle coppie che si avvicinano alla PMA si osserva un vero e proprio shock che mette in crisi il loro sistema di valori, credenze, convinzioni, speranze: si sentono inadeguate, in colpa perché non hanno la possibilità di dare continuità alle generazioni precedenti, e il disagio talvolta può diventare così forte da minare l’equilibrio e il legame tra i partner. 

È frequente che in questo clima di confusione si insinui nella coppia attraverso l’incomprensione: pur desiderando entrambi i partner un figlio ci si può ritrovare a vivere emozioni diverse, in tempi diversi, che si manifestano in modo diverso. Una situazione del tutto fisiologica, ma che se non viene riconosciuta e si protrae nel tempo può portare ad un allontanamento dei partner nella coppia e ad un aumento del vissuto di solitudine di ognuno. 

Per questo le persone che vivono questa esperienza sono spesso molto provate a livello emotivo e presentano una condizione di malessere che produce disagio sia a livello individuale che relazionale. La sessualità può diminuire di intensità venendo vissuta come finalizzata al nulla¸ o essere circoscritta al periodo fertile e diventare una sorta di “compitini” da svolgere. Questo rischia di minare molto le caratteristiche di spontaneità, sensualità e piacere che la contraddistinguono, perché la finalità ultima diventa quella del concepimento che, mese dopo mese, continua a non trovare riscontro. Proprio per questi motivi è importante chiedere un aiuto psicologico, che fornisce alla coppia non solo uno spazio dove poter essere ascoltata, ma anche uno spazio dove poter elaborare i sentimenti di rabbia, tristezza, vergogna e disagio legati alla diagnosi di infertilità e al percorso di PMA. Un supporto psicologico può essere utile anche per integrare le tantissime informazioni che si possono ricevere durante il percorso medico, sul tipo di tecniche utilizzate (IUI, FIVET, ICSI, IMSI) e relative percentuali di successo/insuccesso e infine sulle difficoltà in cui si potrà incorrere.